Le mostre

Radici. Forme nascoste della natura

Quando

19 Ottobre 2015

Dove

Via dell'Orso 16 - 20121 Milano
Radici 2015 Roberto Vallini

Una grande attenzione verso il circostante e soprattutto verso la natura ma forse sarebbe meglio dire una curiosa “creatività” e soprattutto, il desiderio, comunque, d’intervenire: è nel DNA di Roberto, forse, che si può individuare un nuovo corso, da qualche tempo, del suo “fare”. Già il padre, Agenore, infatti, nell’ultimo scorcio della sua vita, aveva iniziato, con dei semplici strumenti, a rielaborare quelle radici della Val d’Ossola che avevano catturato il suo interesse.
Particolari “manufatti” che erano stati conservati con affetto ma che, ad un certo punto, hanno iniziato a suscitare/imporre quasi, diverse riflessioni. E un nuovo impegno: arrivare a una “sintesi della radice”.
Dalla rossa cromia, per lo più, per la natura ferrosa che viene assorbita: e si lavora di cere, naturali o pigmentate (per una miglior conservazione ma non solo), lucidi e opachi a succedersi – olio di gomito! -, per valorizzarne concavità ed aggetti, rispettando la forma che emerge, e lì fermandosi, sottolineandone le venature e accondiscendendo ai profumi che continuano a diffondersi.
Ma non più, solo radici di castagno e di robinia: ecco tronchi di glicine, ceppi svuotati o legni già lavorati dal mare (come per un particolare “Cristo re”, individuato e raccolto su una spiaggia in America del Sud, “pulito” e “scaturito” solo appiattendo un nodo). E, ancora, ecco quelle più fresche: di ciliegio e di lentischio dell’Elba, che gli amici gli portano e sottopongono, da ogni dove…
Le forme che assumono le radici degli alberi, “organizzate” in fasci più o meno regolari, hanno davvero, spesso, dell’incredibile: nei diversi terreni hanno dovuto immergersi per ogni dove per assicurare nutrimento al tronco, per farlo svettare verso l’alto, vincendo la forza di gravità, superando ogni ostacolo per permettergli di “mettersi in contatto con il cielo”, come poeticamente si è scritto. Gli apparati radicali, più prosaicamente, propongono spesso non solo, quasi, un’immagine speculare della parte aerea, e suggeriscono, a chi sa guardare, inaspettate immagini, zoomorfe, antropomorfe… all’insegna di un affascinante vocabolario astratto. Certo, risultato del suo paziente fare sono figure di immaginari e fiabeschi paesaggi, animali preistorici ma soprattutto armonici “insiemi” che emergono dopo tanto, o poco lavoro: un’interpretazione però che si affida a chi guarda, la titolazione demandata al fruitore. Lo “scultore”, per scelta, si pone in una posizione acritica, nella tensione di dare un’autonoma espressività a ogni pezzo. Incuriosisce comunque molto, credo, e prova un’inaspettata fascinazione chi si trova davanti a queste “radici” da un’imprevedibile dimensione poetica e ai nuovi, intriganti racconti che queste forme spontanee ci propongono: grazie a un loro “libero” contatto con le percezioni, la mente e le mani di un Roberto che abbiamo conosciuto soprattutto in altre vesti (di attento giornalista, in particolare), non di “elaboratore” di radici. A perdurare, però, proprio il suo impegno e soprattutto la sua sensibilità, qui al servizio di una materia legnosa, dalle particolari striature materiche e sfumature cromatiche alla quale ridà nuova vita e profumo, a testimoniare, ancora, quell’albero che sorreggevano.
E possiamo, da qui, “traslare” qualche altra riflessione, su queste sue nuove radici?
Anty Pansera, un’amica…

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